giovedì 3 aprile 2014

Cosa cambia, davvero, l'antispecismo - Due domande a Leonardo Caffo


Un celebre aforisma di Arthur Schopenauer, lo sappiamo, dice che tutte le verità passano attraverso  tre  stadi  - vengono  ridicolizzate, poi vengono violentemente contestate,  infine vengono accettate come evidenti. 

I fatti accaduti a Pordenone domenica scorsa ci fanno pensare che siamo entrati prepotentemente nella seconda fase - cosa ne pensi?


Avendo già letto la seconda domanda che mi farete direi che, al massimo, siamo a cavallo tra il primo e il secondo stadio. 
Ma eviterei di prendere come oro colato questo aforisma di Schopenauer, onestamente. Io credo che siamo in una fase duplice: accettazione, da un lato, e respingimento dall’altro.
Il respingimento è quello che interessa a noi adesso dopo i fatti di Pordenone:  cinque attivisti sono stati picchiati con forza da parte del personale del circo e, aggravante aggiuntiva, è stato concesso al circo di fare un altro spettacolo, il giorno seguente.
Questo  respingimento  avviene  perché  gli  animalisti,  piaccia o meno, chiedendo la liberazione animale stanno, implicitamente o no, chiedendo anche l’abolizione di tutta una serie di professioni che con lo sfruttamento animale sono connesse. Vorrei, infatti, essere più preciso e articolato nel rispondere alla seconda questione.


Nei  momenti immediatamente  successivi all’aggressione,  mentre  
i ragazzi  brutalmente picchiati venivano soccorsi, abbiamo potuto notare persone che, dalle finestre di una casa  vicina,  ridevano  per l'accaduto.  
Questa  sprezzante  ostilità a noi  riservata potrebbe a tuo avviso essere una reazione alle rivendicazioni del movimento per i diritti animali, osteggiate perché mettono in discussione sia l'individuo che la società nel suo insieme?


Che l’animalismo, per riprendere un noto aforisma maoista, non sia una cena di gala è ovvio ai più. Se escludiamo frange incoscienti del movimento, che infatti non ne fanno neanche parte, sappiamo tutti che animalismo e/o antispecismo chiedono un ripensamento complessivo della struttura del sociale.
Coloro che sono ancorati a questa struttura, dipendenti di un circo o di una macelleria, sentono di dover difendere il loro statuto sociale.
Entro certi limiti è comprensibile: nati in un sistema che ha reso possibili, trasformandole in 
“normali”, una serie di pratiche filosoficamente inaccettabili -  molti umani non comprendono l’essenza dell’antispecismo. Non una lotta a favore di animali contro umani, ma a favore  dell’animalità contro  un  tipo  di  umanità:  quella  attuale.  Consentitemi  di  riferirmi  a me stesso: quando ho scritto Il maiale non fa la rivoluzione (Sonda, 2013) ho ricevuto un doppio  rimprovero per aver detto che l’antispecismo (debole,  nella  mia  formulazione)  lotta contro l’umano: dagli specisti, per ovvi motivi, e dagli antispecisti  - perché mi accusavano di misantropia. Ma è ovviamente contro l’umanità come oggi l’abbiamo intesa contro cui cercavo di argomentare - e ho cercato di rendere chiaro tutto ciò ne mio Margini dell’umanità (Mimesis, 2013) - che infatti è un libro sulle società umane, e non sugli animali.
I fatti di Pordenone spiegano bene cosa intendevo: l’umanità che si è scagliata contro gli animalisti non può essere difesa realmente - non ci sono scuse vetero-marxiste o politiche che tengano.
La violenza esercitata è davvero dis-umana: quando ho letto sui giornali,e quando poi mi avete telefonato, ho pensato due cose.
La prima è che è possibile, non sovrainterpetiamo  sempre,  che  coloro che  hanno  picchiato gli attivisti  siano solo violenti e incoscienti mentre, la seconda, è che siano realmente portatori di questa consapevolezza: l’antispecismo non  è  la liberazione animale, ma  il  cambiamento dell’umanità. 

Affinché  si cambi bisogna decostruire - e questo significa mettere in discussione il potere, interrogarlo, chiedergli conto e ragione.
Significa abbandonare culture e tradizioni violente: significa non considerarle neanche più “culture”. La tradizione circense sta all’Italia come la tauromachia alla Spagna. Sappiamo che di tentativi per giustificare tali abomini ce ne sono stati a bizzeffe - pensiamo al più raffinato intellettualmente - quello di Tauroetica (Laterza, 2011) di Fernando Savater (proprio da una mia contestazione al testo iniziò il dibattito sull’antispecismo  debole).
Anche  intellettuali  del  suo  calibro, che pure non picchierebbero mai 
nessuno, sentono l’esigenza di correre ai riparti dell’umanità che l’antispecismo vuole contestare: e allora giù di argomenti banali, etica fondata sull’estetica, insulti gratuiti, e via dicendo.

Vedete - io credo che i fatti di Pordenone siano terribili, ma necessari. Quale che siano state le velocità dei cambiamenti passati, a proposito dei diritti umani o animali (dicotomia inutile nel migliore dei mondi possibili), queste sono avvenute in modo imprevedibile e dopo anni di lotte silenziose e inafferrabili. La storia umana, come quella dell’universo di cui facciamo parte, procede per salti: e ogni avanzamento morale è balzo inaspettato e leggero, mai leggiadro, perché comporta mutamenti più simili a scossoni che a tenere carezze.
Questione complessa da ridimere: il cambiamento è possibile entro la griglia dello stesso sistema che nobilita lo sfruttamento animale?
Io credo di no: ma abbiamo altri strumenti che non siano tentare? 
Se c’è un modo per cominciare ad anticipare un’idea di mondo senza dominio dell’umano sull’animale, questo è proprio quello di mostrare che il il futuro è già possibile: l’attivismo, con le sue conseguenze pratiche, è questa dimostrazione.  Ciò che succederà  sempre  più  spesso  è  che l’umanità  che  vogliamo decostruire tenterà di bloccare in ogni modo questo processo: per adesso piccoli scontri in un circo di periferia, ma in futuro i palcoscenici della faida interna ai margini dell’umanità potrebbero allargarsi. Non c’è da stranirsi, forse da rattristarsi, ma siamo nel bel mezzo di una mutazione di paradigma - e non possiamo ancora farne una narrazione: questo spetta al futuro che verrà.
D’altro canto, mi pare di capire che le persone che ridevano dell’accaduto, come coloro che chiudevano le tapparelle durante gli omicidi mafiosi nelle piazze della Sicilia di un tempo, sono esattamente la migliore esemplificazione di ciò che intendo per “margini”: possiamo difendere quanto vogliamo i diritti della nostra specie ma, per farlo, dobbiamo paradossalmente lottare contro l’umanità a favore della solo animalità e del soli animali. Di un’umanità che ride della violenza, che irride un desiderio di libertà, e che non muove un dito per migliorare il mondo - cosa ce ne facciamo?


Quando di noi non resteranno che animali, perché per gli animali avremo lottato da animali, e non da umani, potremo cominciare a ricostruire un’altra idea di umanità. Per adesso mi si permetta di esprimere assoluta vicinanza agli aggrediti - trattati come animali sono, paradossalmente, proprio il primo e traumatico passaggio verso questo cambio della guardia ai margini della nostra specie.


Leonardo Caffo

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