lunedì 24 febbraio 2014

Le videoricette: il frico vegan


Ringraziamo di cuore Tamara e Rodrigo per averci ospitati nella loro cucina e per la realizzazione di questa gustosissima ricetta, rivisitazione in chiave vegan di una ricetta tradizionale friulana...il frico!

Ingredienti:
5 patate (800 grammi circa)
2 cipolle medie
1 bicchiere di latte di soia
1 bicchiere di yogurt di soia al naturale (non dolcificato)
2/3 cucchiaini di succo di limone
2 cucchiai di fecola di patate
2 cucchiai di lievito alimentare in fiocchi
sale, pepe, olio e.v.o.

Procedimento:
tagliare a dadini le patate e le cipolle
In una padella antiaderente far appassire le cipolle in olio extra vergine d'oliva; quando saranno imbiondite unire le patate facendole risolare leggermente. A questo punto aggiungere acqua fino a coprirle, unire sale e pepe e lasciarle cuocere con il coperchio fino a che saranno tenere (se necessario aggiungere altra acqua all'occorrenza). 
Nel frattempo procedere alla preparazione del formaggio cremoso: stemperare, in un pentolino antiaderente, due cucchiai di fecola di patate con il bicchiere di latte di soia (unendolo gradualmente e mescolando per non formare grumi). Aggiungere sale e pepe q.b. e scaldare il tutto a fiamma lenta, mescolando fino a quando non si addensa. Appena il composto è denso spegnere la fiamma e unire lo yogurt di soia e 2/3 cucchiaini di succo di limone. Aiutarsi con un frullatore a immersione per rendere il composto cremoso. Accendere nuovamente il fuoco e far cuocere per qualche minuto, mescolando. Quando le patate sono cotte versarvi il formaggio cremoso e due cucchiai di lievito alimentare in fiocchi, amalgamando bene. Procedere con la cottura del frico fino a quando non si sarà formata la classica crosticina dorata. A questo punto il frico va girato (operazione delicata) aiutandosi con un piatto piano di diametro uguale o leggermente superiore a quello della padella. Va poi proseguita la cottura in modo che la crosticina si formi anche dall'altro lato. 
Impiattare e servire caldo o anche tiepido, accompagnato da polenta.
Buon appetito e GO VEGAN!



giovedì 20 febbraio 2014

La sperimentazione animale è lecita? Intervento del Prof. Massimo Filippi

La domanda corretta da porsi non è "La sperimentazione animale è utile?", bensì "La sperimentazione animale è lecita?" 

Il Prof. Massimo Filippi pone la necessita' di sviluppare linee di ricerca senza animali partendo dalla considerazione secondo cui la scienza deve operare a valle di convenzioni sociali che continuamente si ridefiniscono e che hanno natura etica. 


L'argomento è magistralmente argomentato a questo convegno indetto all'Università di Chieti il 24/2/2010

Condividiamo con piacere il video di questo intervento, molto significativo e attuale, realizzato da Oltre La Specie. 

Massimo Filippi insegna Neurologia all'Università Vita-Salute del San Raffaele e si occupa da anni della questione animale da un punto di vista filosofico e politico. E' socio fondatore dell’associazione animalista «Oltre la Specie» e membro della redazione di «Liberazioni. Rivista di critica antispecista».







"Ma ora tutti i segreti naturali sono stati svelati, ed è probabile che le tartarughe siano state vendute a qualche scienziato da laboratorio intenzionato a rimuovere il guscio per poter applicare degli elettrodi alla pelle e monitorare il loro crescente terrore nel perdere il guscio. E' un'idea assurda e grottesca, pensi. E poi è impossibile rimuovere il guscio a una tartaruga senza ucciderla!
Ma niente è impossibile per la scienza. La scienza ha torturato dei ratti con l'elettroshock ogni volta che pigiavano una leva per procurarsi una pallina di cibo. Ha iniettato delle cellule cancerogene a dei conigli che ha diviso in due gruppi, accuditi e trascurati, così da poter indagare il ruolo dell'affetto nel processo di guarigione. 
Gli scienziati fanno questi esperimenti con l'intento di aiutare. Di alleviare la sofferenza fisica; di estirpare la depressione. E per raggiungere il loro obiettivo, smonteranno qualsiasi cosa per poi rimontarla in un altro modo.
Inseguono il paradiso e per averlo andranno all'inferno."

Mary Gaitskill                

domenica 16 febbraio 2014

Due colpi di fucile prima del macello

"Ceci n'est pas un steak"
Artist: Stéphanie Valentin 

In molti, appresa la tragica notizia della mucca uccisa a fucilate ad Azzano Decimo (PN), si saranno certamente chiesti se non vi fossero altri mezzi- non cruenti- per recuperare l'animale.
La risposta, dolorosamente semplice e che rispecchia in tutta la sua drammaticità l'agghiacciante visione riservata dalla nostra società agli animali da reddito, è riassunta tutta nel passaggio riportato dagli organi di stampa : "(...) ma sopratutto fra qualche mese sarebbe stata destinata al macello".

La morte era il suo inevitabile destino, un destino- segnato nell'esatto momento in cui era nata- che accompagna quotidianamente miliardi di vite ridotte a mere unità produttive, piegate nella dignità e nelle emozioni senza che vi sia, da parte del sentire comune, la più pallida ombra di rimorso. 

Non ci sarà dato sapere cosa lei abbia pensato nell'istante in cui è fuggita dalla stalla in cui era imprigionata, né potremo mai avere l'esatta misura dello smarrimento e del terrore del suo trovarsi braccata in un ambiente sconosciuto e indecifrabile.
Di tutto questo, e molto altro ancora, importa ben poco ai consumatori e nulla agli allevatori, ed è sempre sconcertante dover prendere atto di quanto dolore gli animali debbano sopportare in silenzio e con un'assoluta mancanza di comprensione da parte nostra.
L'invisibilità a cui li destiniamo, restando impermeabili al loro dolore, è occasionalmente interrotta da fatti di cronaca come questo, presto gettati nel dimenticatoio perché tutto torni a scorrere come prima.
La mucca di Azzano Decimo, dopo i due spari di fucile che la finiscono, cessa di fare notizia (così come non fa notizia né desta sgomento la sua macellazione) e torna ad essere un numero, un capo di bestiame cui mai sarà riconosciuto lo status di individuo, il prodotto finale di un ingranaggio meschino che lavora a ciclo continuo- in un perpetuarsi di nascita e di morte- per soddisfare i nostri capricci.

E' difficile dare un senso a una vicenda come questa; vogliamo credere, immaginandoci per un istante nei panni di quella mucca, che ella abbia scelto di vivere poche ore sotto un cielo che le era stato negato e di terminare la sua corsa in un campo, piuttosto che fra le pareti di un mattatoio, fiutando l'odore della morte.
I suoi pochi attimi di libertà, pagati a caro prezzo, sono lì a ricordarci che ogni animale cerca e cercherà sempre di sottrarsi alla propria prigionia; possiamo provare a piegarlo al nostro volere, convincerci egli sia inconsapevole della propria condizione di schiavo o poco interessato alla sorte che lo attende, possiamo disporre del suo corpo e della sua libertà, ma non illudiamoci che tutto questo possa bastare a cancellare i suoi sogni, le sue emozioni e la sua tensione verso la vita.  


"Sono stato a una fiera agricola annuale alle porte di Auckland, in Nuova Zelanda. Vi si tengono competizioni per la giovenca, il toro e la mucca da latte migliori, e credevo che parlando con le persone che allevano questi animali avrei potuto verificare alcune delle mie idee sulla loro vita emotiva. Ho parlato con diverse donne che lavorano con questi animali. Ho domandato: "Che cosa vedete quando li guardate?", sperando in qualche percezione delle loro emozioni. "Vedo della buona carne rossa" mi ha risposto una di loro, e la sorella concordava. 
"Che cosa pensate dei loro sentimenti?" - "Non ne hanno" hanno risposto all'unanimità, e a questo punto altri presenti hanno espresso il loro parere, perlopiù in accordo con il loro. 
"Sono sempre impassibili" mi ha detto una donna. 
"Sono sempre uguali, non provano niente." 
In quel momento, abbiamo sentito dei muggiti. Ho chiesto perché le mucche facessero tanto baccano. "Oh, non è niente" mi ha rassicurato la donna. "Sono solo le mucche che rispondono ai vitelli." 
Che cosa intendeva dire con "rispondono"?
"Be', i vitelli separati sono spaventati e chiamano la madre, le madri si preoccupano per i piccoli e rispondono, forse cercano di tranquillizzarli." Queste parole provenivano dalla stessa bocca che aveva appena detto che quegli animali non provano niente: né paura, né dolore alla separazione, né bisogno di confronto, né amore per i loro piccoli, né mancanza della madre. 
Sono giunto ad alcune conclusioni di carattere psicologico e filosofico. Spesso chi ama gli animali è accusato di cedere alle aberrazioni logiche del sentimentalismo e dell'antropomorfismo. Ma in quel momento mi sembrava che quelle persone facessero un altro errore, noto tra gli psicologi come "tendenza alla conferma". Si tratta della predisposizione a considerare solo la prova che conferma una propria convinzione, ignorando e scartando la prova che invece la smentisce. 
Questa gente si convince che gli animali non provano nulla contro ogni evidenza, persino quando ce l'hanno davanti agli occhi.
Jeffrey Moussaieff Masson 
"Il maiale che cantava alla luna - la vita emotiva degli animali da fattoria"


lunedì 10 febbraio 2014

Marius e la spettacolarizzazione di una tragedia


Alle 09.15 di domenica 9 febbraio Marius è stato giustiziato con un colpo di pistola alla testa nello zoo di Copenhagen.
Una morte annunciata che ha fatto il giro del mondo, un'esecuzione programmata nei dettagli e consumata di fronte allo sguardo di un pubblico in prevalenza composto di bambini.
A nulla sono valse le mobilitazioni, gli appelli, le migliaia di firme raccolte e le svariate offerte di adozione da parte di strutture, rifugi e parchi europei: il destino di Marius era già segnato e si è compiuto in una fredda mattina d'inverno che sarà difficile dimenticare.
Lo Yorkshire Wildlife Park nel Regno Unito- riferisce la Bbc on line- che ha una casa per giraffe e la possibilità di ospitare un maschio in più, si era infatti offerto di ospitare il giovane animale, in un estremo tentativo di salvargli la vita.

Lo stesso vale per un parco in Olanda, il cui direttore, Robert Krijuff, ha commentato con amarezza: "Non ci posso credere. Ci siamo offerti di salvare la sua vita".

Tutto regolare e a norma di legge, spiega il portavoce dello zoo danese che si è detto sorpreso dalla forte reazione di sdegno suscitata da questa uccisione. Inevitabile e, a suo dire, necessaria a impedire al giovane esemplare di riprodursi nel rispetto della normativa dell'associazione degli zoo europei.
Lo zoo che ospitava Marius aderisce infatti a un programma di allevamento europeo per giraffe vincolato da rigide regole sulla consanguineità; esse vietano la riproduzione tra consanguinei allo scopo di mantenere sane le specie all'interno della struttura.

Marius era nato da genitori consanguinei, questa dunque la sua "colpa".
Il direttore dello zoo Bengt Holst definisce questa esecuzione essenziale per una politica di gestione “responsabile".
La stessa politica di gestione in virtù della quale lo zoo di Copenhagen mette annualmente a morte una media di 20-30 animali esotici sani (tra cui ippopotami, gazzelle e occasionalmente anche scimpanzé).

Non è quindi una novità, e nel 2012 la sorte di Marius è toccata a  2 cuccioli di leopardo di circa 2 anni. Uguale motivazione (i geni erano già sovrarappresentati nella popolazione collettiva dello zoo) ma arma diversa: ai leopardi è toccata l'iniezione letale, a Marius un colpo di pistola alla testa. Nel suo caso un'iniezione letale avrebbe compromesso la salubrità delle sue carni.
Proprio così. Perché nel braccio della morte dello zoo di Copenhagen nulla va sprecato: la fine tragica di un animale può così non solo essere spettacolarizzata, ma assumere addirittura una macabra valenza didattica con la dissezione di un corpo che poco prima era vita, riciclato in una lezione di anatomia e infine dato in pasto ad altri animali.
“Sono davvero orgoglioso di aver dato ai bambini un'enorme opportunità di apprendimento sull'anatomia della giraffa, che di certo non avrebbero avuto guardando una giraffa in una foto”- dichiara soddisfatto il direttore della struttura all'agenzia di stampa Associated Press.

Ed è fuori dubbio: i bambini presenti all'esecuzione di Marius non hanno guardato la foto di una giraffa. Hanno guardato, dal vivo e in prima persona, una giraffa che muore.
Hanno, forse senza esserne pienamente consapevoli, assistito a una tragedia: l'uccisione di un individuo, di una vita fatta di emozioni, scippata senza pudore con un colpo di pistola.

martedì 4 febbraio 2014

Nutria, un facile capro espiatorio


Il 31 Gennaio ha avuto luogo un convegno sulle nutrie promosso e organizzato dalla Provincia di Udine; a margine del convegno il presidente della Provincia di Udine Pietro Fontanini e l’assessore alla Caccia e pesca Marco Quai si sono premurati di informare i cittadini, attraverso gli organi di stampa, sul fatto che si stiano attualmente prendendo provvedimenti per un contenimento delle nutrie presenti sul territorio.
A supporto di ciò è intervenuto il direttore del Consorzio di bonifica Bassa Friulana, Luca Gargioli, evidenziando come - a suo dire- questi animali stiano causando danni per 11 milioni di euro.
Sarebbe questa infatti la cifra spesa per gli interventi di ripristino degli argini, nella Bassa friulana, a causa delle perforazioni causate dalle nutrie; apprendiamo inoltre come il piano di contenimento 2013 abbia portato al prelievo di 600 capi, a cura della Polizia Provinciale.
L'ipocrisia del ricorrere a termini volutamente asettici come "contenimento", "capi", "prelievo" nasce dallo sforzo, da parte del mondo venatorio, di rendere socialmente giustificabile la realtà dell'ennesima strage di animali; nel caso specifico le nutrie, bollate senza appello come animali nocivi, diventano il perfetto capro espiatorio a cui addossare responsabilità riconducibili unicamente all'uomo.
Come sempre quando si tratta di affrontare la questione animale con tutti i suoi molteplici risvolti, il movimento animalista si trova nella condizione, spesso frustrante, di dover sottolineare concetti già noti all'opinione pubblica, rifacendosi a studi, dossier, fatti e informazioni che da tempo circolano in rete; si tratta tuttavia di uno sforzo che raramente raggiunge il proprio primario obiettivo, quello di stimolare una onesta riflessione che conduca le istituzioni a un cambio di rotta, a nuovo modo di guardare agli animali non umani, lontano da pressioni lobbistiche, interessi economici o facili scaricabarile di esponenti politici interessati a trovare comodi alibi alle proprie mancanze.
Potremmo così, nel parlare delle nutrie, soffermarci sul fatto che esse siano presenti nel nostro territorio originariamente grazie all'industria della pelliccia, che le ha introdotte per allevarle, sfruttarle e massacrarle in maniera sistematica e per anni.
Questo dato di fatto, scomodo e per questo mai evidenziato quando si spendono fiumi di inchiostro per descrivere i cosiddetti piani di contenimento, sarebbe di per sé sufficiente a farci comprendere come questi animali non siano giunti da noi per farci un dispetto o per distruggere gli argini dei nostri fiumi.
Le nutrie, si potrebbe aggiungere, non scavano gallerie dove la sponda è naturalmente coperta da vegetazione spontanea, e basterebbe veramente poco a contenere eventuali danni (ove ce ne ne fossero).
Si potrebbe andare avanti e approfondire l'argomento (ampiamente e seriamente trattato da esperti, associazioni ambientaliste e animaliste) ma temiamo si tratti anche questa volta di parole inascoltate.

Il vero punto, a nostro avviso, sta nello sguardo che l'uomo riserva agli animali: siano essi nutrie, topi, cinghiali, volpi, corvidi o altri animali che si è meschinamente deciso di definire "animali nocivi", la logica dello sterminio diventa l'unico strumento contemplato e la parola coesistenza non viene mai, per un solo momento, presa in considerazione.
Spesso ci chiediamo quanto peso possa avere il fare una corretta informazione quando gli interessi in gioco sono altri e ben individuabili.
Nel caso specifico non è difficile riconoscere quali siano i reali interessi da tutelare in convegni come quello promosso dalla Provincia di Udine, presenziati da vertici delle Istituzioni e assessori alla Caccia e pesca il cui ruolo lascia ben poco spazio a interpretazioni di sorta.

Per quanti desiderassero avere una versione diversa dei fatti, approfondendo la questione delle nutrie in giorni come questi -in cui le condizioni meteo e i frequenti straripamenti dei fiumi hanno riportato agli onori della cronaca questi animali- consigliamo la lettura del dossier LAC  e segnaliamo il sito del progetto TheInvasion  



The Invasion - A Coypumentary 

domenica 2 febbraio 2014

Tutta la pioggia che ci meritiamo


Da molti anni, forse anche troppi, una parte del movimento per i diritti animali denuncia pubblicamente le tragiche ripercussioni sui mutamenti climatici originate dalla rimozione, da parte della nostra società, della questione legata al consumo di carne.
Una questione in primo luogo etica che l'opinione pubblica, con la complicità e l'assordante silenzio di istituzioni e media, sceglie sistematicamente di non affrontare, dimostrando cecità non solamente nei riguardi del dolore e della morte di miliardi di animali, ma anche per l'inevitabile e già palese stato di allarme in atto nel pianeta che abitiamo.  
In questi giorni assistiamo, in molte aree del nostro paese (anche nella nostra regione), ad una delle sempre più frequenti emergenze legate all'eccessiva quantità di precipitazioni.
Nonostante una naturale apprensione per lo scenario che potrebbe prospettarsi, nessuno sembra interessato a voler prendere atto che quanto accade ha una relazione molto forte con cosa (con CHI) viene messo nel piatto.
Eppure questa ormai innegabile relazione non è frutto della fantasia di animalisti dotati di fervida immaginazione; stiamo parlando di stime attendibili e di dati comprovati, oggettivi e scientifici sui quali, per ragioni di spazio, evitiamo di dilungarci (segnaliamo il video alla fine di questo articolo a quanti interessati ad un approfondimento). 

Ciò che desideriamo mettere in rilievo in questo contesto è l'inammissibile chiusura delle istituzioni, della politica (a partire dagli amministratori locali fino ai massimi esponenti del governo) e di gran parte della comunità scientifica difronte a fatti che, tragicamente, negli anni a venire assumeranno un sempre maggior peso.
Questa chiusura ci sta legittimando a compiere scelte quotidiane senza ritorno: così come -da sempre- è senza ritorno il viaggio di dolore che conduce al proprio destino gli animali di cui ci cibiamo, è altrettanto senza ritorno il viaggio che porta noi e le prossime generazioni a costruire un futuro dalle ore contate.

Si può decidere di continuare a ignorare appelli come questo, bollandoli come sensazionalistici, estremi o addirittura apocalittici.
Si può decidere che, nell'ordine delle cose, ha più importanza guardare al proprio interesse, qui e ora, vivendo una quotidianità immune a tutto ciò che si consuma al di fuori dei rassicuranti confini del proprio giardino, difendendo ostinatamente il diritto ad essere onnivori e demandando ad altri quella presa di coscienza che dovrebbe essere, oggi più che mai, una questione di giustizia sociale e un imperativo morale per tutti. 

Lo si può fare, ma ciò non cancella una imbarazzante e scomoda verità: il consumo di carne e di derivati ha un prezzo che si sceglie, sistematicamente, di far pagare agli animali. Questo prezzo, altissimo in termini di vite, non può più essere ignorato. E' una cambiale scaduta con cui dovremo sempre fare i conti, anche quando avremo finito di fare i conti con la nostra coscienza.  


Per condividere o scaricare il video: TV Animalista